logo FMC

 

logo.bmp

Scuola per lavorare

nell’Agroalimentare

 

HOME
PROGETTO
CLASSI
BIODIVERSITA'
MELONE
BIOLOGICO
MAIS
GRANO
CIV. CONTADINA
DEGUSTAZIONI
QUARTA FASE
 
ITALIANO-Come Tupà fece crescere il mais leggenda latino americana
AGRONOMIA ITALIANO STORIA    


Il paese dei Guarani soffriva una grande siccità; i suoi frutti si seccavano ed i pesci erano morti; i cacciatori rientravano a mani vuote; i pantani scomparivano con gli uccelli. Era la prima volta che soffrivano la fame. Pregavano Tupà perché mandasse la pioggia, ma l’unico risultato era che la terra continuava a seccarsi. Due giovani guerrieri, Avatì e Negrave, si dispiacevano del pianto dei bambini ed erano disposti a dare la loro vita per salvarli. Appena pronunciarono i loro desideri, apparve uno sconosciuto che assicurò loro che se parlavano sul serio, Tupà li avrebbe aiutati. Egli lo aveva mandato sulla terra a cercare un uomo che avesse voluto dare la sua vita per gli altri facendo in modo che dal suo corpo sorgesse la pianta che avrebbe dato da mangiare a tutti. Annunciò loro che la pianta sarebbe stata coltivata nei pressi dei loro paesi e che i suoi frutti si sarebbero conservati per lungo tempo; che con la pianta divina i Guaranì non avrebbero mai più sofferto la fame. Entrambi confermarono il proprio desiderio di obbedienza al volere supremo di Tupà. Non era necessario che entrambi si sacrificassero. Uno dei due doveva rimanere in vita per cercare un luogo sulle rive del fiume, vicino al paese e preparare il terreno per interrarvi l’amico. Dal corpo di questo sarebbe nata la pianta di Tupà che gli avrebbe dato la vita eterna per il suo sacrificio fatto per gli altri. I due amici cercarono il posto e si strinsero la mano. Fu scelto Avatì e Negrave preparò il terreno; piangendo lo interrò. Tutti i giorni andava a trovarlo, irrigava il terreno con la poca acqua del fiume. Ed allora le parole di Tupà si compirono: dalla terra emerse una pianta sconosciuta che crebbe, fiorì e diede i suoi primi frutti in abbondanza. Nè portò la sua gente a conoscere la pianta e spiegò ciò che era accaduto. Apparve di nuovo lo sconosciuto per confermare la storia dicendo che Avatì sarebbe vissuto per sempre se loro avessero seminato i semi e avuto cura della coltura e per promettere loro che Tupà avrebbe mandato la pioggia perché mai più la fame potesse affliggere il popolo dei Guaranì. La gente si inginocchiò davanti al messaggero ed esplose in canti di lode al suo creatore. E da allora il mais cresce e nutre tutti con i suoi frutti deliziosi.


Il grano Siciliano o granturco da “ Lo spettacolo della natura “ dialogo IV – 1759
Il Mais, detto altrimenti gran turco, è un tipo di frumento ben grosso e quasi rotondo, ma in qualche parte appuntito, la cui grandezza si accosta a quella del cecio, o del pisello. Se ne trova di giallo, di bianco, di rosso e del brizzolato. Il colore della sua scorza è molto vario. Macinando questo grano, se ne ricava della farina assai bianca, o almeno giallognola, il cui sapore, a chi ci ha fatto la bocca, non è spiacevole. Di questa farina si possono fare delle minestre manipolate a guisa di piselletti, del pane, dei biscotti, e molto più ancora delle polente, come si pratica giornalmente nelle parti d’America e d’Asia. Questo sostanziosissimo grano ha virtù di ingrassare, e vale come biada e come granella date in cibo agli animali. Da un seme di granturco germinano, quando quattro, quando cinque e quando sei steli somiglianti alle canne, e alte sei, sette piedi, il cui midollo contiene un certo succo, che, a spremerlo, se ne estrae un vero zucchero. Spuntano da ogni canna due o tre pannocchie, a guisa di grosse spighe, la cui lunghezza arriva a quattro o cinque grosse dita, e son rivestite da numerose e grandi brattee, di una consistenza di poco meno forte della cartapecora, le quali difendono la detta pannocchia dalla pioggia, dall’umido, e dalle persecuzioni degli uccelli. Ogni pannocchia contiene in se otto costoline o file di granelli, ciascuno dei quali ne porta trenta: sicché, a sommarli tutti otto, arrivano a duecentoquaranta; e di conseguenza ogni canna ne porta più di settecento. Quindi, volendo fare il conto del prodotto di un solo seme, si arriverà a più di duemila granelli. Questa prodigiosa fecondità, accom-pagnata dalle benefiche qualità di questo grano, ha incitato gli agricoltori di molte e molte delle nostre province meridionali a seminarne. Si sono dun-que messi alla prova, e hanno fornito un buon esito, specialmente per il pollame. Ma la raccolta del granturco, non è solamente più copiosa di tutte le altre, ma ancor più sicura. Questa sorta di biada non è soggetta a quelle tante malattie che distruggono gli altri grani. Vi son dei posti dove si fanno tutto il giorno delle prove: e non vi si perde mai nulla. Ma noi non abbiamo questa regola. Condanniamo tutto ciò che da noi non si pratica, e quasi sempre ci immaginiamo che tutto ciò che da noi si fa debba essere la regola di quel che deve essere fatto.