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 La cooperativa agricola del melone retato di Calvenzano

AGRONOMIA ITALIANO STORIA DIRITTO INGLESE

Il “retato di Calvenzano” è un melone molto particolare dalla forma allungata, dal peso considerevole (dai 2 ai 5 Kg. e oltre) e dalla tipica scorza rugosa detta appunto rete o ricamo. Storicamente il melone è stato importantissimo per Calvenzano e ha avuto il suo massimo splendore negli anni 20 e 30; vi fu un periodo in cui veniva consumato nei più importanti ristoranti di Parigi. Negli anni 30 è stato consegnato alla residenza estiva dei reali d’Inghilterra che alla Cooperativa, secondo testimonianze di soci produttori di meloni, fecero avere un certificato di stima.
“Si contavano sulle punte di una mano, erano gli ultimi testimoni di una tradizione antica, persa come tante altre, e sostituite con qualcosa che nemmeno lontanamente le ricordava. Erano i semi dell’antico melone di Calvenzano, un piccolo paese alle porte di Treviglio, città natale di Ermanno Olmi. E il profumo di questi meloni lo aveva accompagnato fino all’adolescenza. Pochi anni fa, questi semi antichi sono stati ripiantati e hanno consentito la rinascita di questo prodotto”

«Io, per 80 anni custode dei semi di melone retato»

Amarcord «Lavoravo in un mulino. Finito il turno andavo nei campi. E il giorno dopo mi alzavo alle 4»Buttinoni: la coop li recuperò da me
Quest'anno non rispetterà la tradizione. Serafino Buttinoni ha 91 anni e da almeno 80 coltiva il melone di Calvenzano. Sa bene che va piantato nella Settimana Santa. In tanto tempo questa è forse la terza volta che gli capita. Uno smacco. Del frutto simbolo del paese, Serafino è l'esegeta e il salvatore. È lui che anno dopo anno, quando tutti ne avevano abbandonato la coltivazione, ha continuato a piantarlo preservando la semente. Quando la Cooperativa agricola, 12 anni fa, ha deciso di recuperane la coltivazione, è a lui che si è rivolta chiedendo qualche seme. «Quest'anno è troppo umido e freddo ? spiega ? tocca aspettare. Io pianto in terra i semi, non ho le serre». Serafino ha compiuto gli anni giovedì, vive in un appartamento alla periferia del paese con la moglie Giuseppina Blini, e tutta la sua vita può essere raccontata in qualche modo attraverso il melone. Per lui è il sapore dell'infanzia, la memoria di un duro lavoro nei suoi anni migliori, una cocciutaggine e una fede quando nessuno ne voleva più sapere e ora è un hobby e tanti ricordi. Adesso lavorare la terra significa curare l'orto, solo un passatempo, ma Serafino ricorda bene quanto sia dura la vita legata ai campi.«Mio padre ? racconta ? aveva 30 pertiche. Poca roba. Non erano sufficienti a dar da mangiare a quattro figli. Eravamo poveri. La maggior parte delle famiglie di Calvenzano erano nella nostra situazione. Tutti tenevano un pò di terra a meloni, non perché fossero buoni ma perché rendevano. Maturavano in fretta, a fine giugno erano già pronti. Meloni e piselli, erano i primi raccolti, permettevano di pagare il primo semestre di affitto che si versava il giorno di San Pietro». I meloni di Calvenzano erano pregiati, meno dolci di quelli mantovani ma più grandi, con una polpa consistente e profumata. Erano molto apprezzati e prendevano la via dei mercati generali di Bergamo e soprattutto Milano e da lì anche all'estero. A fine degli anni '40, tornato dalla campagna di Russia, dove aveva combattuto come alpino, Serafino si era messo a lavorare in un mulino del paese. «Finito il turno ? spiega ? venivo a casa e andavo nei campi insieme a mio cognato. I miei meloni erano i più belli del paese. Per raccoglierli bisognava alzarsi alle 4. Io passavo nel campo, vedevo quelli che erano maturi e li tagliavo. Poi si mettevano in una cesta e si riempiva il carretto. Ne raccoglievamo fino a cinque quintali al giorno». A quel punto i meloni partivano per essere venduti. «Il mercato era nella piazza del ciocco, chiamata così perché i contadini si sedevano su un albero abbattuto vicino alla pesa pubblica. I mediatori facevano il prezzo. Io avevo un accordo con un commerciante di Treviglio che li rivendeva a Milano. I miei erano i frutti più pregiati e pur di averli mi dava più soldi». Serafino, come ha fatto per una vita, seleziona ancora i meloni più belli e poi ne conserva la semente. La tiene in cantina, insieme a tanti semi diversi. Qui ha una sorta di laboratorio dove fa i suoi esperimenti: «Le varietà che non conosco, prima le semino in vaso- spiega - per vedere come gettano e quanto tempo ci impiego. Se il risultato mi convince, poi le metto nell'orto». In una scatola di plastica ha i semi del melone di Calvenzano: «Si può dire siano quelli di mio padre - spiega con l'occhio lucido . Ormai di meloni ne coltivo pochi, solo quelli che mangiamo in famiglia. Sono buonissimi, non c'è niente di più buono al mondo».
Da: Corriere della Sera (30 marzo 2013) Pagina 8