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SUA MAESTA’ IL MELONE - IL MELONE NELLA LETTERATURA | ||||||||||||
SUA MAESTA’ IL MELONE
…quatro meloni ch'io credo sia
n boni, ma sono bellissimi; IL MELONE NELLA LETTERATURA Ciascuno di noi avrà senz’altro assistito assistito al classico e antico rituale, risalente addirittura al medioevo, che precede l’acquisto di un melone. Si prende in mano con dolcezza, lo si annusa con fare interrogativo, lo si picchietta tamburellandolo con la nocca, per poi farvi con il dito indice delle leggere pressioni al centro. Tutto questo, per accertarsi o per tentare di indovinare, se il frutto ha raggiunto un grado di maturità sufficiente a sprigionare il suo potenziale di fragranza e sapore. I meloni coltivati in Italia sono essenzialmente di tre tipologie: cantalupo, retato e gialletto. Antichissime ed ignote sono le sue origini. Alcuni studiosi dicono che provenga dall'Africa mentre altri dell' Asia Minore, di sicuro non si conosce la specie selvatica a cui far riferimento. Già 3000 anni fa i Sumeri conoscevano il melone, in un poema epico Cigalmesh l'eroe mangiava "meloni cassia”, frutti rappresentati sulle tavole imbandite di vari bassorilievi ed elencati anche in un assiro di erbe, mentre nella città di Ur un residente di nome Ur-Nammu li piantò nel suo giardino. Quando Mosè condusse il popolo ebraico nel deserto dove vagò per 40 anni, uno dei prodotti alimentari che desiderava erano i meloni "il pesce, che abbiamo fatto mangiare liberamente in Egitto, i cetrioli, e meloni." (11, 05 ). In tutto il Medio Oriente uno snack preferito erano i semi del melone che venivano essiccati e arrostiti. Un vecchio proverbio afferma che "colui che riempie lo stomaco con semi di meloni è come colui che lo riempie con la luce, non vi è baraka, benedizione, in loro". ll medico greco Galeno discute i benefici medici dei meloni nei suoi scritti. Non erano grossi come li conosciamo oggi ma delle dimensioni di un arancia. Apicio nel suo De re Coquinaria racconta dei meloni importati dall’Armenia, in una delle ricette cosi descrive i meloni crudi serviti con "una salsa di pepe, mentuccia, miele, brodo e aceto. Una volta ogni tanto si aggiunge silfio". Nel I° secolo d.C, Plinio il Vecchio ha scritto di una pianta chiamata melopepo che “cresce su una vite che non pendono come il cetriolo, ma si trova piuttosto a terra”, descrive i frutti come sferica e di colore giallastro e osserva anche che si stacca facilmente dallo stelo, tutte caratteristiche che riportano al melone. L'accostamento al cetriolo da parte dell'autore latino non è del tutto arbitrario, entrambi sono infatti piante della famiglia delle Cucurbitacee, a cui appartiene anche l'anguria. Nel testo di Plinio compare anche il nome con il quale i meloni continuano ad essere chiamati ancora oggi nel sud Italia e in Toscana: 'poponi'. Un dipinto murale è stato scoperto ad Ercolano, vicino a Pompei, città sepolte nell’eruzione vulcanica nel 79 d.C. dove si raffigurano dei meloni tagliati a metà. Con la caduta dell’impero Romano, in Italia crollò anche l’importazione dei meloni provenienti dall'Asia Minore. In seguito Carlo Magno, nell’800 d.C., che apprezzava nuovi frutti e verdure, aggiornando in continuazione il suo giardino con nuovi e rari cultivar, riprese la coltivazione del melone riportato dalla Spagna, dove sono stati piantati un secolo prima dai Mori. Nonostante l'amore di Carlo Magno il melone non diventa un frutto popolare. Marco Polo lungo il tragitto verso la Cina, trovò quello che lui considerava "il miglior melone nel mondo in quantità grande che si asciugano in questo modo: hanno tagliato tutti intorno a fette come strisce di cuoio, poi metterli al sole ad asciugare, quando diventano più dolce miele. E deve sapere che si tratta di un articolo di commercio e di trovare un pronto vendita attraverso tutti i paesi intorno". Sbarcato di nuovo in Europa il melone ritrovò consenso, lo scrittore Alberto Magno nel XIII secolo descrive chiaramente l'anguria e il pepo, termine utilizzato dagli europei per riferirsi al melone. Giovanni Boccaccio parla di "lunghi melloni e gialli poponi", riferendosi probabilmente al nobile melone sotto la cui scorza ruvida e dura si nascondono: una polpa zuccherina, un profumo caratteristico e un colore che varia dal verdastro al giallo, all’arancione e al bianco. Dal XIV secolo gli italiani cominciano a fare sul serio tanto da farli diventare più grossi e avere mercato, cosi i meloni cominciarono ad espandersi in termini di dimensioni e peso. Nel corso del XV secolo i nuovi meloni vengono impiantati dagli arabi nella parte meridionale della Spagna, ed introdotti nel Nuovo Mondo. Nel XVII secolo i meloni diventano un frutto popolare in Francia e in Italia, coltivati nelle regioni meridionali e solo sotto vetro per catturare abbastanza calore e farli maturare. In Italia era presente la varietà coltivata a Cantalupo, da cui prese il nome volgare, vicino Roma e importata poi in Francia da Carlo VIII al ritorno dalla sua spedizione. Lo scrittore francese, Brillat-Savarin difende i meloni raccontando che i buoni erano la regola, quelli cattivi l'eccezione. Ha cosi spiegato che i meloni devono essere consumati nel momento esatto quando hanno raggiunto "la perfezione che è il loro destino"
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